
Thom

Che Thom Yorke avesse un’anima, lo sapevamo, che quest’anima fosse multiforme, sapevamo anche questo, ma che quest’anima brillasse di luce propria, anche senza i Radiohead, e addirittura danzasse, questo ancora non lo sapevamo! Il fatto che Thom Yorke attualmente sia capace di ballare su un palco, recitare ed eseguire coreografie sta a testimoniare che sicuramente si trova in un periodo più sereno della sua vita, che un cambiamento c’è stato, ma proprio non ce la fa a non fare musica che non sia inquieta, a tratti un’angoscia e un’ansia totale! Però sta bene, è lui, è Thom e non potrebbe essere altrimenti! Riconosciamolo e accettiamolo una volta per tutte!
Anima (2019) è il titolo del terzo, o meglio, quarto lavoro solista di Thom Yorke, considerando Amok con gli Atoms For Peace e la colonna sonora di Suspiria di Luca Guadagnino, che non può essere considerata semplicemente “una” colonna sonora a sé stante, ma lo spazio allucinato, ansioso, onirico e distopico che troverà piena espressione in Anima, a cui stava già lavorando. Musicalmente potremmo collocare Anima tra Amok (2013), con il sample di Not The News, l’elettronica claustrofobica di Tomorrow’s Modern Boxes (2014), e la colonna sonora di Suspiria (2018), con intro e code strumentali da film. È per questo che alcuni vi hanno visto un album in bilico tra la mancanza di chiarezza su che direzione prendere e un carattere riconoscibile. In realtà credo che la chiarezza non ci sia solo se non si è capito cosa Yorke voglia dire e, lo ammetto, non è semplice al primo ascolto. Ci troviamo davanti a un album compatto dal punto di vista tematico ma visionario, che non “vive” di musica, quanto di sensazioni, paure, sentimenti, atmosfere, confusione e bellezza. Le 9 tracce del disco sono qualcosa di evanescente, che non ci fa toccare alcuna materia, almeno non in questo mondo, ma in un altro, quello dei sogni, producendo una
stimolazione neuronale con il linguaggio dei suoni. L’obiettivo è quello di indurci in uno stato pre-cosciente in cui è evidente la sua aspirazione al sogno di matrice junghiana, alla cui teoria si ispira per dare il titolo al disco. E così prende vita un lungo sogno agitato, che si districa tra il monologo interiore e il tumulto sociale, che sono gli elementi della psiche individuale, ovvero gli elementi personali, e di quella collettiva, ovvero gli elementi culturali, di cui parlava Jung. Trasportati nel mondo reale questi elementi sono la paranoia, la malinconia, l’apatia, l’esistenzialismo, il controverso rapporto tra uomo e macchine, che sta cambiando non solo il modo in cui viviamo ma anche quello in cui pensiamo, la condizione di ansia della società moderna, i cambiamenti climatici e il fallimento della politica (detesta Boris Johnson, “Now I’m gonna have to watch your party die”
in I Am a Very Rude Person). L’ansia e la distopia sono presenti nei suoni come nelle parole, frasi ripetute come un mantra, mai finite o senza senso e suoni spezzati. Yorke continua in Anima il suo processo di decostruzione della musica. Non esiste struttura, non esiste fissità, non esiste regola.
La regola è l’assenza di regole e l’innovazione è la logica conseguenza del suo modo di fare “anti- musica”, come ha dichiarato in un’intervista. La distruzione porta alla costruzione del nuovo. L’idea è quella di non scrivere canzoni, ma fare musica tramite un processo caotico e liberatorio, creando dei collage digitali. Ed ecco come nasce il disco. Yorke ha spedito al suo
storico produttore Nigel Godrich alcuni frammenti sonori. Lui li ha selezionati, li ha trasformati in campionamenti e loop, e Yorke a sua volta ha scritto le parti vocali su quelle basi, in un processo di astrazione da qualsiasi forma canzone. Facile, no? In definitiva quello che il “professore” di Oxford cerca di fare è di dare un’armonia a un complesso di pulsioni che formano un vortice costante e irrisolvibile, che ci accompagna ogni volta che chiudiamo gli occhi. Nei nostri sogni! Anima è molto di più di quello che ho scritto in queste righe, forse è più altro che musica. Per iniziare a comprenderlo è imprescindibile guardare il cortometraggio, diretto da Paul Thomas Anderson, che ha preceduto l’uscita del disco e che contiene, in sequenza, le 3 tracce più alte del disco: Not The News, Traffic e Dawn Chorus. È un concetto sofisticato, libero ma pensato, lo definirei quasi un progetto irripetibile che ha portato qualcosa di nuovo nella stanchezza dell’elettronica attuale pur senza cambiarne gli elementi, ma riassemblandoli, scarnificandoli e rimodellandoli a proprio piacere. E questo mi porta dritta alla birra che assocerei a un ascolto così complesso. Beh, ovviamente una Gueuze! “Lo champagne del Belgio”, cui è circoscritta la produzione di questo particolare stile birrario. Champagne? Un controsenso se si pensa che invece in fiammingo significa “pezzente” perché bevuta dalle persone povere, mentre il vino trovava posto solo sulle tavole dei ricchi! In realtà l’associazione deriva dal metodo utilizzato che ricorda l’assemblaggio di una cuvée di champagne. La gueuze nasce dall’assemblaggio di due o più lambic (la birra acida per antonomasia del Belgio) di età diversa effettuato dagli stessi produttori, ma addirittura esistono delle aziende predisposte ad assemblarli ad arte. Le sue caratteristiche sono vicine a quelle di un lambic ma, dopo la miscelazione, le gueuze vengono chiuse con un tappo di sughero e lasciate riposare in cantina, dove iniziano una fermentazione supplementare.
Quest’ultima dura tra i 4 e i 6 mesi, secondo un metodo simile a quello dello spumante italiano “metodo classico”. Le bottiglie vengono coricate in cantine buie dove vengono lasciate a riposare anche per lunghi anni finché non si deciderà di portarle a tavola, sempre nella stessa posizione orizzontale per non agitare i lieviti depositatisi. Tutto ciò sviluppa anidride carbonica e conferisce, oltre che maggiore frizzantezza, anche una maggiore complessità e finezza. La birra che ne risulta è così frizzante, non troppo acida, fresca e bevibile. L’assemblatore deve avere una sensibilità
olfattivo-gustativa molto spiccata, in genere innata, verso questo tipo di birra per riuscire a creare la “propria” gueuze, l’unica e sola che lo soddisfi e lo identifichi. E la connessione è lampante!
Penso a quel manipolatore di Thom Yorke in abito da mastro birraio mentre ricerca il proprio suono e il giusto equilibrio tra le parti, per tirar fuori qualcosa di unico e raffinato. Secondo un detto locale “una vera gueuze deve puzzare” e anche questa “puzza” deve essere ben
padroneggiata dall’artista/assemblatore. Quindi, attenti, se non puzza bene, non è una buona gueuze! Generalmente la gradazione di una gueuze si aggira intorno al 5-6% vol. alc. e ritengo sia adatta anche per questo ad accompagnare l’ascolto di un disco come Anima, alcolica ma non troppo, da permetterci di ritornare e non perderci nel labirinto onirico di Yorke. Altrimenti sarebbe un viaggio senza ritorno!
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Nunzia Morena
La musica mi appassiona da sempre. È libertà, espressione, cultura, lotta, ribellione, è gioia ma anche dolore, è vita, è passione, è chimica, come l’attrazione che si prova verso una persona senza capirne il motivo. Insomma, è una delle più complete espressioni di noi. Scrivo della musica che mi piace, quella che ascolto e voglio condividere. Per ogni artista o brano, abbino sempre una birra da sorseggiare, un’altra mia grande passione.