
Complottismo parte seconda. Il DHMO

di Emanuele Pezone
Nel 1983, su un giornale americano, compare una notizia allarmante; nelle tubature idriche della cittadina di Durand, in Michigan, è stata rilevata la presenza di DHMO, ossia di Monossido di Diidrogeno.
Quello che sembrava un problema locale si rivela essere un fenomeno di portata planetaria; improvvisamente, cercandolo, pare essere ovunque.
Viene trovato in enormi quantitativi nelle piogge acide, nelle centrali nucleari e negli scarti di innumerevoli produzioni industriali, scaricati in mare in quantitativi enormi e, cosa incredibile, apparentemente senza infrangere alcuna legge. Sembra essere davvero dappertutto: nei campi, nelle case, in mare, nei laghi, nei fiumi, lo trovano addirittura nel cibo per neonati!
Ma come è possibile che fino ad allora fosse stato ignorato? Eppure pochissimi test bastano a determinare in modo inequivocabile che, tra i suoi effetti più devastanti, c’è un’accelerazione della corrosione dei metalli e addirittura, se inalato, la morte da soffocamento anche in soggetti giovani e sani, contribuisce all’erosione dei terreni, è presente nei prodotti che mangiamo e a niente serve lavarli accuratamente, è presente nelle cellule precancerose, nel suo stato solido può causare danni ai tessuti organici e nel suo stato gassoso può causare bruciature anche gravissime.
Anche l’effetto serra lo vede grande corresponsabile.
E ha addirittura raggiunto l’Antartide.
La sua ingestione poi, provoca sudorazione eccessiva, tendenza eccessiva alla minzione, in alcuni casi sensazione di gonfiore, nausea, vomito e sbilanciamenti elettrolitici nei liquidi fisiologici. E a rendere lo scenario veramente spaventoso è la notizia che dà dipendenza, che un numero enorme di atleti ne fa un uso smodato per aumentare le proprie prestazioni e che farne a meno completamente significa morte certa.
Qui nel nostro paese, come nel resto del mondo, le aree più a rischio sono quelle prossime alle falde acquifere e alle acque superficiali, per tacere degli ottomila chilometri di coste.
La possibilità di venire in contatto con questa sostanza è altissima anche nella nostra vita di tutti i giorni.
Secondo la Dihydrogen Monoxide Research Division, può succedere semplicemente aprendo i rubinetti nelle case, negli ospedali, nei luoghi di lavoro e finanche nelle scuole.
Accurati test scientifici con rilevazioni statistiche condotte a livello planetario hanno infatti dimostrato che le tubature per il trasporto acquifero rappresentano un mezzo altamente efficace per la sua diffusione.
Certo noi in Italia siamo fortunati, visto che parecchi studi hanno stimato che circa il 40% di questa sostanza si disperda proprio durante il tragitto, prima di arrivare ai rubinetti di uso comune. Il restante 60%, però,
arriva e come.
Tutto legale, tutti tacciono. Gli enormi interessi economici in gioco imbavagliano i media, eppure le ricerche dell’insigne scienziato Nathan Zohner dimostrano che l’86% della popolazione supporterebbe una messa a
bando del DHMO e uno studio analogo dei ricercatori americani Patrick K McClusky e Matthew Kulick evidenzia che il 90% dei cittadini che hanno partecipato a un sondaggio si sono espressi a favore di una petizione per una messa a bando totale e netta del DHMO negli Stati Uniti.
Ma come è possibile che invece non sia successo niente di tutto questo? Che nessuno abbia detto basta a questo scempio e adottato delle misure drastiche per porre fine a questo sconcio?
Qualcuno in effetti ci ha provato; svariate proposte di messa al bando della sostanza sono quasi arrivate alla fine del loro iter legale in diversi Paesi, petizioni sono state firmate (ce n’è ancora una su change.org, forte purtroppo di solo 59 firme, e un’altra ancora, che ha fatto meglio con 222 firme), anche da molti delegati delle Nazioni Unite durante una conferenza di qualche anno fa a Cancun, eppure finora nessuna vera misura è stata adottata per arginare l’uso massiccio e indiscriminato di questa sostanza.
Addirittura pare che la Marina ed altre organizzazioni militari stiano conducendo esperimenti con il DHMO e progettando dispositivi da miliardi di dollari per controllarlo durante situazioni di tensione militare.
Centinaia di postazioni militari di ricerca ne ricevono a tonnellate attraverso sofisticate reti di distribuzione sotterranee. Molte di esse ne conservano rilevanti quantità per usarle in un secondo momento.
Una cosa spaventosa, i soliti poteri forti che se ne fregano di noi cittadini e perseguono solo le loro agende di controllo e guadagno e chi dovrebbe informarci non lo fa, magari per paura o vera e propria complicità.
Eppure qua sono coinvolti bambini, centrali nucleari, l’effetto serra, i militari, addirittura l’ultimo lembo ancora non ecologicamente devastato del mondo, ossia l’Antartide!
Tutto verissimo, tra l’altro.
Peccato solo che il Monossido di Diidrogeno altro non sia che l’acqua, e che Nathan Zohner sia in verità il quattordicenne americano che ha ideato tutto questo per dimostrare la pericolosità della credulità acritica. Ma come è possibile che così tante persone si siano indignate e abbiano chiesto la messa al bando dell’acqua? Come è possibile che non si siano manco presi la briga di googlare il termine?
Degli sprovveduti, direte voi.
Mica sempre; il biologo molecolare Adam Ruben, parlando del DHMO, ricorda di quando utilizzava questa bufala il primo giorno di lezione di un corso da lui tenuto sulla percezione della scienza: distribuiva una scheda informativa sul DHMO che ne evidenziava i pericoli e chiedeva agli studenti di decidere il fato di questa sostanza. Bene, nella maggior parte dei semestri, tra il 25 e il 50% degli studenti si esprimeva a favore di una regolamentazione o una messa al bando dello spaventoso DHMO.
Eppure stiamo parlando di studenti di Scienze di una prestigiosissima università.
Cos’è che non ha funzionato? Come non si è cercata qualche altra informazione per capirne di più? Come è possibile che non si sia colta l’evidente assurdità di alcune delle cose scritte?
Sono diversi i meccanismi che entrano in gioco.
Innanzitutto bisogna capire quello che si legge.
Il primo grosso problema è l’analfabetismo funzionale.
Cosa è mai e quanti ce ne sono in giro?
Ebbene in Italia, su una popolazione di 60 milioni di persone e 55 milioni di utenti che accedono alla rete, ci sono circa 20 milioni di analfabeti funzionali.
Milioni e milioni di persone che, secondo la definizione del rapporto Piaac-Ocse, sono analfabeti funzionali, ossia non riescono a “comprendere, valutare, usare e farsi coinvolgere con testi scritti per intervenire attivamente nella società, per raggiungere i propri obiettivi e per sviluppare le proprie conoscenze e potenzialità”. Va da sé ovviamente che hanno difficoltà a formulare un pensiero critico o a leggere tra le righe.
Ma non è fantastico?
E cosa succede quando l’effetto Dunning-Kruger, ossia l’inconsapevolezza di essere incompetenti, di cui abbiamo già parlato, incontra l’analfabetismo funzionale?
Si opta per la soluzione che richiede meno sforzo e ci si avvicina alla conoscenza di qualsiasi fenomeno solo prendendo in esame la propria esperienza diretta, in modo acritico, senza sforzarsi di ampliare il punto di
vista, senza alcuna verifica delle fonti e senza comprendere le posizioni degli esperti, spesso accusati anzi di essere prezzolati.
Ma per capire meglio cosa succede dovremo fare un salto indietro di diversi millenni e aggirarci in una foresta…
Emanuele Pezone
Sono cresciuto in una famiglia dove nessuno si è mai preso troppo sul serio. Ho poco meno di cinque anni gioviani. Ho studiato e viaggiato più di quanto la mia memoria potesse permettersi. Vivo di parole e non mi dispiace. Continuo, con mia somma sorpresa, a essere terribilmente curioso.